AIGA - ASSOCIAZIONE ITALIANA GIOVANI AVVOCATI
SEZIONE "LUCERES" DI LUCERA
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Considerazioni sul disegno di legge sulla professione di avvocato
in prossimità del convegno 19-20.3.1999 in Bergamo su
"La riforma della professione forense"
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Argomento: PUBBLICITA’
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PUBBLICITA’: E’ SUFFICIENTE CONSENTIRE LA PUBBLICITA’-INFORMAZIONE, OPPURE POSSONO ESSERE PROSPETTATE ULTERIORI APERTURE (COME E’ STATO FATTO DAI DOTTORI COMMERCIALISTI, E COME E’ PRATICATO DAGLI AVVOCATI IN QUASI TUTTA L’UNIONE EUROPEA)?
L’argomento pubblicità presenta, a mio avviso, aspetti molto attuali, proprio in virtù dell’integrazione europea alla quale stiamo attendendo.
Il codice deontologico in vigore (approvato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 17.4.1997), dedica a tale aspetto della nostra professione, in via diretta, l’art. 17 (divieto di pubblicità), ma anche gli artt. 18 (rapporti con la stampa) e 19 (divieto di accaparramento clientela) possono farsi rientrare nel medesimo argomento.
Dall’art. 17 ricaviamo che "è vietata qualsiasi forma di pubblicità dell’attività professionale", che però riceve i seguenti contemperamenti:
- è consentita l’indicazione, nei rapporti con i terzi (carta da lettera, rubriche professionali e telefoniche, repertori, banche dati forensi, anche a diffusione internazionale) i propri particolari rami di attività;
- è consentita l’informazione agli assistiti ed ai colleghi sulla organizzazione dell’ufficio e sull’attività professionale svolta;
- è consentita l’indicazione del nome di un avvocato defunto, che abbia fatto parte dello studio, purchè il professionista a suo tempo lo abbia espressamente previsto o abbia disposto per testamento in tal senso, ovvero vi sia consenso unanime dei suoi eredi;
- in ogni caso l’attività di informazione consentita deve essere effettuata in modo veritiero e nel rispetto dei doveri di dignità e decoro.
Poi vi è l’art. 18 del codice deontologico, che, in materia di rapporti con la stampa, stabilisce quanto segue:
- Nei rapporti con la stampa e con gli altri mezzi di diffusione l’avvocato deve ispirarsi a criteri di equilibrio e misura nel rilasciare dichiarazioni e interviste, sia per il rispetto ai doveri di discrezione e di riservatezza verso la parte assistita, sia per evitare atteggiamenti concorrenziali verso i colleghi;
- (I°) Il difensore, con il consenso del proprio assistito e nell’interesse dello stesso, può fornire notizie agli organi di informazione e di stampa, che non siano coperte dal segreto di indagine;
- (II°) Costituisce violazione della regola deontologica, in ogni caso, perseguire fini pubblicitari anche mediante contributi indiretti ed articoli di stampa; enfatizzare le proprie prestazioni o i propri successi; spendere il nome dei clienti; offrire servizi professionali; intrattenere rapporti con gli organi di informazione e di stampa al solo fine di pubblicità personale.
Anche l’art.19 del codice deontologico ben si può riferire all’argomento, e cioè quello che ha per titolazione il divieto di accaparramento clientela, e che prescrive:
- E’ vietata l’offerta di prestazioni professionali a terzi e in genere ogni attività diretta all’acquisizione di rapporti di clientela, a mezzo di agenzie o procacciatori o altri mezzi illeciti;
- (I°) L’avvocato non deve corrispondere ad un collega, o ad un altro soggetto, un onorario, una provvigione o qualsiasi altro compenso quale corrispettivo per la prestazione di un cliente;
- (II°) Costituisce infrazione disciplinare l’offerta di omaggi o di prestazioni a terzi ovvero la corresponsione o la promessa di vantaggi per ottenere difese o incarichi.
Le problematiche che si collegano all’argomento ‘pubblicità’ sono molteplici: non è assolutamente semplice poter definire quali siano i confini oltre i quali l’intervento del professionista sfoci in attività pubblicitaria non consentita.
Di certo, al cospetto di una categoria professionale che conta oltre centomila iscritti, e con la prospettiva che, al di là del contenzioso, la più variegata consulenza legale, secondo quelli che sembrano i principi ispiratori dell’integrazione europea, non sarà più appannaggio esclusivo della classe forense, come poter non immaginare che non pochi studi legali si attrezzino per una presenza sul ‘mercato’ che si esprima anche attraverso forme ‘pubblicitarie’ una volta sconosciute o comunque non praticate?
La dignità ed il decoro professionali devono costituire, pur in un frangente come questo, dove potrebbe non apparire astruso il brocardo latino ‘mors tua vita mea’, il necessario binario di ogni iniziativa e di ogni attività attraverso la quale l’avvocato sia presente nel mercato del lavoro.
E ritengo che, tra i vari interventi che gli organi forensi istituzionali hanno effettuato sul tema, il parere fornito dal Consiglio dell’Ordine di Milano il 3.2.1997 rispecchi la posizione che l’Avvocatura Italiana ritiene di assumere, sulla quale penso si possa concordare.
Chiamato a rispondere ad un quesito di alcuni studi legali, i quali avevano acquisito i cosiddetti siti su "Internet", tramite i quali far conoscere la loro attività, il Consiglio dell’Ordine di Milano ha ritenuto che possa essere consentito ai colleghi l’inserimento, appunto, su ‘Internet’, così come sul ‘Martin Dale’ o su analoghe opere, del nome del proprio studio, con l’indicazione degli eventuali componenti dello stesso, degli studi seguiti, delle eventuali cariche universitarie, delle pubblicazioni effettuate, e delle collaborazioni a riviste specializzate: ritengo giusto poter presentare alla potenziale utenza anche questi elementi, dato che siamo in un’epoca nella quale la specializzazione (e, con essa, la sua conoscenza da parte della clientela) nella professione forense è assolutamente necessaria.
Penso si possa concordare con le limitazioni che, in tale parere, sono state date alle forme pubblicitarie, nel senso che i colleghi devono astenersi dall’elencare (anche se vi fosse accordo preventivo) i nomi dei propri clienti, mentre, quanto alla indicazione di eventuali competenze specifiche, i colleghi dovranno limitarsi ad indicare i rami di operatività professionale, con riferimento alle principali branche del diritto, quali consacrate dalla prassi e dalle discipline universitarie, astenendosi da ogni elencazione diffusa, che avrebbe una funzione reclamizzante, come tale non compatibile con il decoro e con la dignità proprie della nostra professione.
Condivisibilissimo il divieto assoluto, pure sancito dal richiamato parere dell’Ordine milanese, di promettere consultazioni o pareri gratuiti (come purtroppo è già capitato di vedere su alcuni siti Internet).
Nel nostro Paese, come può quindi notarsi, vi sono possibilità alquanto limitate di far ricorso alla ‘pubblicità’ per coloro che esercitano la professione forense.
Ma in alcuni altri paesi non è così, e, soprattutto, non è così in altri Paesi dell’Unione Europea: dire se ciò sia giusto o meno diventa non poco problematico.
Gli studi legali stranieri stanno, come si suol dire, cominciando a ‘piantare le tende’ in Italia, e, per portare ciò a conoscenza dell’opinione pubblica e della potenziale utenza, non stanno operando, almeno alcuni di loro, secondo i dettami del codice deontologico vigente in Italia, dato che, tramite stampa, inserzioni, diffusione informatica di dati, in particolare attraverso ‘Internet’, di certo stanno utilizzando metodi di più immediato contatto verso quella che potrebbe diventare la loro clientela.
Al di là, perciò, di stabilire se sia giusto o meno ricorrere, ed in che misura, alla pubblicità (ripeto: concordo pienamente sulle limitazioni attualmente vigenti in Italia), un dato, però, e nel contempo, mi sembra da non sottovalutare, e cioè il principio che le regole debbano essere le stesse e debbano valere alla stessa maniera per tutti, colleghi italiani e colleghi stranieri.
avv. Giuseppe Agnusdei